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Prof. Oronzo Manigrasso
«Artista di notevole levatura, presente con alcune stupende -ci pare- tavole, che ripropongono una raffinatissima tecnica quattro-cinquecentesca, rivissuta attraverso personali esperienze e lontana da tentazioni di facile accademismo. Esperimenti cromatici disarmanti, che ancor più si fanno apprezzare quando si riesce a scacciare un inevitabile lustro, cui le sue riproposte smaltature, in fondo, magicamente assorbono.
In chiave stilistica, ci sembra, Pollai é un grosso problema. Troppo facile inquadrarlo in un fiammingheggiante analitico realismo; un errore, a nostro modesto parere, dire di lui, a primo acchito, che ama convivere, si fa per dire, con i migliori Bueno o con il più assortito Sciltian; che rammenta magari il sempre grande Annigoni... non si direbbe davvero. Semmai, penetrando un tantino il suo mondo intimo, imprevedibilmente scopriamo che é anche paradossalmente surrealista e ben si ricollega ad un Salvator Dalì meno scatenato. Soprattutto quando al posto di Gala, sostituisce i suoi bellissimi citti a soggetto dei suoi preziosi quadri. Affetto immenso e tecnica inimitabile si alleano impaginando una opera come "Lui". Qui l'Idolino, che può essere pittoricamente un parente non lontano di un Vecchietta, di un Domenico Veneziano o di un Pietro di Cosimo, si proietta nello spazio surreale, per l'appunto, entro una trasparente ideale bacheca filtrata da alabastrini bruni; in essa c'é l'essenza della campagna senese condensata in luminescenze da eclisse solare, non sappiamo se permeata da misteriosi sgomenti o da una filosofia pessimistica.
Più immediato anche se meno ispirato "Il Ragazzo del Palio" in costume; attende un momento magico e con la sua boccuccia anatomicamente sofisticata -non si può escludere- é pronto per un probabile irriverente sberleffo di contrada... »
Pienza, Anno 1980
Luciana Benzi
- Mostra dei lavori astratti di Ezio Pollai abbinata alla mostra di scultura di Mary Gorrara alla Art Dialogue Gallery dal 6 al 22 Novembre. -
È un vero onore presentare per la prima volta a Toronto, anzi per la prima volta in Nord America, un artista italiano del calibro di Ezio Pollai.
Ezio Pollai è un vero figlio di Siena. Vive e lavora a Siena, dove vi è nato e cresciuto e dove è stato formato, si può dire plasmato dalla gloriosa tradizione artistica della sua città. A Siena ha sempre continuato la sua ricerca per lo sviluppo del suo lavoro eccetto per due periodi di studio a Firenze e a Roma.
Pollai è un fenomeno d'integrità artistica riuscendo a combinare originalità di pensiero, sensibilità della forma e del colore e una mirabile qualità tecnica.
Dimostrando una straordinaria versatilità il suo lavoro colpisce per la facilità e spontaneità con cui esprime tanto i simboli del nostro tempo in maniera astratta quanto il realismo e surrealismo figurativo.
Ezio Pollai usa i colori con una maestria, la stessa intensità e lo stesso rispetto dei grandi maestri del Rinascimento. Prima che questa asserzione possa evocare le familiari immagini di quel periodo bisogna subito aggiungere che dopo la tecnica e l'amore per i colori ad olio le similarità finiscono. La visione pittorica di Ezio Pollai è del tutto indipendente e contemporanea. Indipendente, ben inteso, nel senso artistico, cioè che non si collega e non subisce le influenze del passato e non risente di altri movimenti più o meno recenti.
Nel senso umano è inevitabile e valido che il mondo pittorico di un artista esprima le influenze del suo tempo. In Pollai la percezione del nostro tempo e il suo commento personale fanno parte della maggioranza delle sue opere. Quando il suo lavoro non è circoscritto da richieste particolari, quando è libero da ogni restrizione il suo pensiero filosofico si esprime con astrazioni altamente simboliche. I paesaggi conosciuti del mondo ambientale dell'artista sono trasformati in paesaggi universali, non riconoscibili ma facili da capire nel contesto avveniristico. Sono dei paesaggi spaziali, sterili, spesso infuocati, oppure masse accartocciate, accumulate, parti di un mondo trasformato di cataclismi incontrollabili.
Nel paesaggio infuocato uno può trovare referenze alle crete senesi, negli oggetti che sfrecciano lo spazio luminescente è facile vedere referenze a veicoli spaziali. Indubbiamente Pollai tende a profetizzare misticamente sul futuro del nostro pianeta. Egli sembra vedere un paesaggio sterile, un condensato di masse materiche minerali senza forma di vita.
Immagini che sono un avvertimento allarmante di tragiche possibilità. Un messaggio necessario per sensibilizzarci a queste possibilità future.
Un surrealismo astratto provocante e del tutto originale. Non ci sono le prospettive controllate, claustrofobiche di De Chirico, non ci sono gli aspetti sinistri di Dalì. Il surrealismo di Pollai è più simbolico e pittoricamente più sofisticato ed elegante.
Ezio Pollai un pittore contemporaneo con visioni del futuro e che con la sua tecnica impeccabile giustifica le conoscenze tramandate dal passato.
Oltre al suo lavoro artistico personale Ezio Pollai è conosciuto per avere dipinto diverse volte il drappellone del Palio di Siena e per avere disegnato i nuovi costumi delle contrade e per i gruppi comunali. È conosciuto inoltre per gli affreschi e i lavori in ceramica commissionati da edifici pubblici.
Ha partecipato a moltissime esposizioni di gruppo ed è stato presentato in mostre personali a Siena e in altre città. Durante la sua lunga carriera ha ricevuto numerosi riconoscimenti per il suo contributo al continuo sviluppo artistico della sua città.
Toronto, Ottobre 1986
di Bruno di Blasi
Stiamo sfogliando un grosso album con i costumi disegnati da Ezio Pollai per alcune contrade; figurini elegantissimi, gran moda del tardo '400.
Sembrano schizzi fatti per divertimento, riempiti di acquerello solo per indicare i colori delle contrade, ed invece è il risultato di un anno esatto di studi e di ricerche. Allora ti accorgi the le decorazioni delle stoffe non sono casuali, ma volute, che i disegni dei mantelli, le pieghe delle maniche, la linea dei cappelli, tutto risponde ad un preciso scopo di unitarietà. Non sono solo comparse per il Palio, ma figure complete, vive. Pollai per realizzarle ha studiato tutto il costume del '400, ha esaminato centinaia di figure dei maestri senesi di quell'epoca. Ha voluto realizzare non figure staccate, ma un gruppo di figuranti the costituisse un tutto. E gli ci e voluto un anno.
Ma Pollai non ha fretta. Sa e vuote maturare decisioni consapevoli; sa quello the vuole, e lo vuole raggiungere, non importa subito, ma lo vuole veramente.
Anni per liberare la mano dalle mode apprese all'Accademia.
" Facevo una pittura di materia. Un colore, una pennellata, una volta stesa, non poteva più essere toccata, perché era testimone di una scelta istintiva, di una emozione forse irripetibile. Si, molto bello tutto questo, e niente male i risultati, ma dentro di me non ne ero poi tanto sicuro. Perche non mi piaceva dipingere così."
Mi guardo intorno; tutti i quadri di Pollai sono, quasi per reazione, superfici levigatissime, i colori non hanno mai toni accesi. Mi guarda dalle tele una folla di terribili armature the marciano verso di me da un cielo immobile come il tempo. Le armature sono vuote, ma le fessure nell'elmo hanno la profondità di uno sguardo. Mi viene in mente il " Cavaliere inesistente " di Calvino.
Equilibri precari nei manichini. Maschere inespressive che sono invece volti segnati da un dolore eterno; pallore della faccia e della esistenza. Immobili perché immobilizzati; impotenti, ma non incapaci di vita.
E silenzio, silenzio negli ambienti, silenzio cosmico delle figure, silenzio in una vecchia chiesa dalle cui rovine si vede, unico segno della vita che continua, il cielo. Le superstizioni crollano, la fede rimane.
Pacata la pittura come il personaggio. Non ama parlare di sé, anzi forse, non ama molto parlare. Le sue opere sono pensieri, maturati prima dentro e poi voluti in questa forma e non in altre.
Passaggi moderati, sommessi, da un tono all'altro, atmosfera rarefatta, le figure sono immerse in un bagno di solitudine; solitudine che è dramma, ma che è forza, che è ragione di vivere, momento magico di esistenza. Come i sei personaggi devono essere grati all'autore che li ha fatti esistere, che con il parto doloroso se li è creati materialmente davanti. E lo smarrimento di esistere è reciproco. Il rapporto umano è completo. Mi rendo conto the non potrò mai turbare questo equilibrio perché il rapporto fra l'autore e le sue opere è un corridoio chiuso, una specie di sotterraneo inaccessibile a qualsiasi estraneo. Ecco perche l'arte, ecco perche l'artista. Trovarsi davanti alla propria opera è un attimo di infinito pathos, una ferita nell'anima. E l'anima ne porta le cicatrici. Ecco perche l'uomo.
" Non so parlare delle mie opere " - mi dice Pollai -. Ora mi accorgo che nemmeno io so parlarne. È facile descrivere un oggetto, una figura, non è facile descrivere un pensiero. Una tematica che è in fondo causa ed effetto della pittura di Pollai, una esigenza espressiva finalizzata solamente alla realtà invisibile, at sentimento realizzato, alla chiarezza delle parole. Arte significa sempre mettere il dito sulla piaga. Per questo è pathos.
C'è, nell'opera di Pollai, il coraggio di negarsi alla pittura come pura espressione, come racconto di cose o di pensieri. La sua pittura stessa e pensiero pensato; e un affondo risoluto verso I'essenza della vita, della persona che vive. Un viaggio verso l'interno di se stessi, e soprattutto il coraggio di guardarsi in faccia.
Me ne vado. Le armature vuote marciano sempre verso non so dove. Non si sono neanche accorte di me. In un angolo un arlecchino si sostiene una maschera davanti al viso. Sono sicuro the dietro questa maschera sta ridendo. Forse di me.»
Anno 1974
Prof. Otello Chiti
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Ezio Pollai è evidentemente un pittore di chiara impostazione classica e figurativa, ma non certo sordo alle sollecitazioni attuali di carattere astratto e metafisico ove tuttavia la forma viene sempre privilegiata. Quindi niente preziosismi materici ed informali, ma lineare plasticità delle strutture che evidenziano vieppiù la sua vocazione figurativa.
Da questo felice cambio ne nasce uno stile che, anche per l'accuratezza con cui sono evidenziati i particolari e la delicatezza della tavolozza, colloca, a mio parere, il Pollai fra i più validi, moderni epigoni della gloriosa scuola senese.
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Quest'opera, a mio parere, accresce notevolmente il decoro e l'accoglienza della chiesa, e non solo dal lato estetico.
Va dato atto, quindi, ai committenti e al prof. Pollai di averne felicemente permessa la realizzazione.
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di Marco Ciampolini
Non è consuetudine che un artista torni su una propria opera per restaurarla. Simone Martini mise mano più volte nella sua Maestà per modificarla, ma fu per volere dei committenti. Anche quella era, come questa pittura, un affresco: una vera eccezione per i nostri giorni. Oggi questa tecnica è desueta, per quanto sia stata di grande uso nell'arte italiana dalle origini alla metà del Novecento. L'affresco fu il medium prediletto da artisti del calibro di Tiepolo, fu la tecnica che rese immortali Michelangelo e Raffaello, fu l'espressione artistica che per la sua larga scala meglio di ogni altra mostrò la grandezza di Piero, Masaccio, Giotto. Il fatto è che l'arte della pittura è diventata un fatto privato e non pubblico e nessuno sembra più necessitare di lavori murali destinati a sfidare il tempo. Si lavora su piccole superfici e con un gusto adatto all'intimità. Spesso si sottopone la pittura all'arredo, ci si inchina cioè al nuovo dio designer. Eseguire un affresco significa misurarsi con le grandi superfici, quelle che richiedono un sofisticato studio, quelle che non concedono errori. Per fare una pittura murale a 'buon fresco' bisogna veramente conoscere il mestiere e Ezio Pollai è certamente, fra i non pochi pittori che ho il piacere di conoscere, quello che indubbiamente ha la tecnica più ricca e sofisticata.
Quando negli anni Settanta Pollai concepì questo affresco non poteva ispirarsi a consimili creazioni del suo tempo, poiché ve erano poche e certo lontane dalla sua sensibilità artistica. Allora guardò indietro, frugò nella tradizione ma con l'occhio di un contemporaneo radicato nella propria epoca. Del resto, il committente, l'arcivescovo Mario Ismaele Castellano, gli aveva chiesto il più canonico dei soggetti: la Madonna Assunta, celeste protettrice di Siena. Pensò di accompagnare la Vergine con un corteo di santi e beati locali, personaggi che aveva studiato profondamente nell'iconografia, fin dai tempi della sua tesi all'Accademia fiorentina su Rutilio Manetti. Il pensiero gli cadde spontaneamente sul tema della Maestà tanto esaltato dai suoi grandi predecessori trecenteschi, ma Pollai volle unire a quel tipo di composizione orizzontale un asse verticale (costituito dalla Vergine soprastante l'allungato profilo di Siena), in modo da alludere anche alla forma della Croce. Pose appunto al centro della composizione una scintillante Assunta e ai suoi lati due teorie di santi in cammino su un piano che non c'è. Unì la solenne struttura della Maestà di Duccio alle suggestioni surrealtiste di Magritte, anzi alla sospensione della Metafisica di De Chirico. Sotto ai santi il cielo e sotto il cielo un paesaggio. Fra mura e campagna emerge Siena, proprio là dov'è, in mezzo alle crete, come la vide realisticamente Ambrogio Lorenzetti negli Effetti del Buongoverno. Ma i colli lorenzettiani, brulicanti di vita e piante, sono qui forme plastiche in movimento, sono onde di terra che rotolano, si cozzano, si aprono generando, dalle loro viscere, inconsueti frammenti di qualche era sepolta. Vi è un gusto ora fiabesco, ora popolare, ora arcaico che riporta ai 'valori plastici' di Carrà. Un gusto antico insomma rivissuto con la sensibilità del Novecento. I santi senesi, come in una sorta di Paradiso stracittadino, hanno l'estro capzioso del Quattrocento, specie di Vecchietta, e nascondono, fra tipologie canoniche, dei veri e propri ritratti, come spesso succede negli affreschi del secolo XV. Assistono a terra, come i donatori nelle pale gotiche e rinascimentali, due arcivescovi di Siena: Mario Toccabelli, in carica negli anni della guerra e della ricostruzione, e Mario Ismaele Castellano, il committente. Tale celeste consesso non poteva che essere irradiato da una luce cristallina, che conferisce alla scena la stessa tersa luminosità delle pitture di Fra Angelico, mostrando forme e colori in una sintesi cromatica plastica, che stupisce perché ancora di fiammante di novità e ricca di conseguenze che ognuno potrà valutare osservando l'evolvere brillante della produzione di Pollai, un pittore in continuità con il passato ma aperto al futuro.
Anno 2007
di Marco Ciampolini
Da troppi anni assistiamo al fenomeno dell'allontanamento della rappresentazione artistica dalla comprensione dell'uomo comune, al punto che ci chiediamo se mai sia possibile tornare a un tipo di raffigurazione immediatamente fruibile, che si lasci apprezzare per le sue specifiche qualità pittoriche e descrittive. Il fatto è che quasi mai esistono le condizioni perché ciò avvenga. L'artista è chiamato a concepire oggetti nei quali i valori estetici non contano. Si chiede qualcosa che, per aderire alle mode del momento o per presentarsi nel modo più sconcertante possibile, abbia un sicuro successo di mercato. L'artista non è più un uomo comune al servizio della gente comune ma una sorta d'inventore al soldo dei principi del commercio. Non si deve confrontare con il luogo, il committente e il pubblico. La domanda allora sorge spontanea: se si ripetono questi confronti l'artista è ancora in grado oggi di eseguire importanti opere d'arte gustabili per i loro intrinseci valori estetici? Osservando la grande Crocifissione che Ezio Pollai in oltre un anno ha dipinto negli undici metri della parete maggiore della Sala delle Confessioni nel Santuario Cateriniano di Siena, possiamo affermare di si. L'artista è entrato in punta di piedi nel luogo destinato alla sua opera. Nell'esigenza di rapportarsi al contesto, con la volontà di produrre un qualcosa che si amalgamasse all'insieme, ha concepito una composizione orchestrata sui rosa e sui nocciola del pavimento e delle pareti. Questo registro cromatico, spento al punto da rasentare il monocromo, è inteso anche per accompagnare il tono penitenziale di un ambiente concepito per le confessioni e quindi destinato alla meditazione e dominato dal silenzio. Ma la grande raffigurazione è tutt'altro che spenta, anzi è urlante nella sua intensa emotività. Vi si scopre il piacere della descrizione. II paesaggio è brullo ma palpitante poiché vivificato da una luce che per abbandonarsi alle variazioni_ atmosferiche ne svela il lato poetico. II suolo è costellato di oggetti resi in modo vivissimo e quindi parlanti al pari di un volto. C'è in questo gusto per il dettaglio l'amore mantegnesco dell'artista per la geologia, per quei frammenti di un tempo che fu, veicoli formidabili per lo stimolo della fantasia. Ma se l'approccio emotivo rende vivi gli oggetti, quando è applicato alla figura umana diviene lo scandaglio dei caratteri e l'affresco, dove agiscono oltre sessanta personaggi, evolve in un larghissimo campionario delle espressioni umane. La pittura è un racconto, e nel narrare la Crocifissione diviene lo scenario per penetranti episodi di male e bene, posti con precisione pierfrancescana in uno spazio scrupolosamente registrato da una prospettiva matematica. In una serrata alternanza fra azioni cattive e buone, all'estremità sinistra il diavolo mascherato scatena la e violenza. Personaggi fagocitati aggrediscono poverelli incapaci di difendersi, ma sopra di essi una persona, di cui non si distingue la fisionomia, soccorre, abbeverandolo, un uomo abbandonato e nudo. È il Buon Samaritano, che esemplifica le opere di misericordia. Stagliato contro il cielo è un falso profeta ossequiato dalla folla. Un ladrone crocifisso volta le spalle all'osservatore, più in basso una donna lapidata. A un bambino è stata imposta l'inquietante camicia di un carcerato, doloroso ricordo del massacro degli innocenti che più volte si è ripetuto nel tragico percorso delle vicende umane. La posizione in tralice delle croci dei ladroni e l'andamento delle rocce convergono verso il centro simbolico dell'affresco: la figura di Cristo Crocifisso. Sul lato sinistro le Marie coperte e consolate dall'evangelista Giovanni sono ammantate come nell'atto di voler chiudere il dolore al loro interno. Santa Caterina è abbracciata alla Croce e sembra quasi voler arginare il flusso del sangue, simbolo tangibile della Passione. Sulla destra San Francesco sembra implorare il Salvatore: in rapporto con l'egoismo simboleggiato dal gruppo che si contende la tunica. L'agognato possesso delle cose terrene, scatena le miserie del mondo come l'immigrazione, rappresentata dagli esuli, in questo caso una donna e dei bambini, che scappano dalle guerre e dalla fame in cerca di un futuro, ignorati da un gruppo di ipocriti. Sotto il secondo ladrone tre personaggi giocano a dadi. La posta non è la veste ma il destino degli uomini, che viene imposto secondo ciò che fa più comodo ai potenti. Una donna abbraccia il suo bambino in un atto di protezione o forse d'egoismo, non lasciando libertà alla propria creatura. Due traditori pentiti escono fuori campo quasi nascondendosi, mentre il cattivo pastore va verso il fondo abbandonando il gregge che viene dilaniato dai lupi. Giovanni Paolo II, nelle vesti del Padre del figliol prodigo, accoglie coloro che, dopo aver peccato, si sono pentiti.
La scena è poi interrotta da una porta che conduce nell'Oratorio del Crocifisso. Oltre questa l'apparizione agli apostoli di Cristo risorto conclude l'affresco. Qui si ripresentano le stesse tonalità della Crocifissione, ma il cielo è scosso dalla presenza dello Spirito Santo. Il tempo è come fermo e lo spazio è diventato simbolico. Si raffigura qui l'episodio narrato dall'Evangelista Giovanni (XX, 23), nel quale Cristo santifica la Confessione.
Pollai si inserisce a pieno titolo fra i grandi decoratori del Santuario Cateriano eseguendovi la raffigurazione parietale più vasta e dimostrando quanto sia ancora viva, attuale e significante la pittura di impianto tradizionale ma di valori eterni.
Anno 2006